Social Media Management, Community Management, Influencer Marketing sono servizi sempre più richiesti alle realtà di comunicazione e consulenza di Marketing strategico, come la nostra, che affiancano le aziende nella definizione della brand strategy e nell’incremento della brand awareness. Seppur queste tematiche possono essere considerate ben strutturate e consolidate nei settori di mercato B2C, come Fashion, Luxury, Design, ma anche FMCG, nel Business to Business ci sono ancora molte zone d’ombra. Quali sono i migliori canali social per raggiungere la propria audience? In ambito B2B è imprescindibile avere una social media strategy? Ne parliamo con Daniele D’Amico, Community Partner & Brand Ambassadors Coordinator dei ‘Digital Innovation Days Italy’.
1. Oggi il Community Manager è molto ricercato nelle aziende perché il suo ruolo è fondamentale nella costruzione dello storytelling e del consenso attorno ad un brand sui nuovi media. Ma se questa figura è ormai piuttosto riconosciuta in ambito B2C, non è forse altrettanto nota o ancora molto compresa in ambito business to business. Qual è il tuo pensiero al riguardo?
Siamo distanti dai tempi in cui il Marketing e la comunicazione fungevano da vettore puramente commerciale. Attualmente il business, o meglio le persone che animano il mercato, richiedono qualcosa di differente. Rigettano il puro consumismo e i fini esclusivamente utilitaristici per andare alla ricerca dei valori primordiali dell’esistenza. Mi riferisco al rapporto tra gli individui e le loro storie. Quest’ultime seppur dissimili sono legate ai brands in comune. Dunque, il Community Manager sconquassa i tecnicismi del B2B e del B2C per entrare nell’infosfera dell’H2H. Mi riferisco allo Human to Human che significa letteralmente persona a persona. Parlare al pubblico di riferimento, rivolgersi a ciascun umano, comprendere la sua necessità e trovare una risposta ai singoli bisogni e ciò che un’azienda è chiamata a svolgere. Dunque il Community Manager è il connettore tra la marca e gli stakeholders.
Viviamo nell’epoca in cui la Brand Purpose influenza le decisioni d’acquisto, il Community Manager attraverso l’ascolto coglie il posizionamento delle persone sui temi di stretta attualità e crea allineamento con i valori aziendali. In una sola parola, affinità.
2. Qual è, secondo te, il ruolo del CM in ambito B2B e quali gli obiettivi che si dovrebbe porre? Quali i social sui cui puntare?
Il Marketing B2B fa riferimento a un ambiente business-to-business, ovvero lo spazio commerciale in cui vi sono transazioni aziendali rispetto a prodotti, servizi e dati. L’acquisto in genere costituisce soltanto la prima fase di una relazione che deve essere duratura.
È di vitale importanza assicurarsi che le aspettative nei confronti dell’assistenza pre e post-vendita siano soddisfatte. In molte aree c’è da svolgere una grande attività rispetto agli interrogativi: questioni tecniche, esigenze relative agli ordini e informazioni che precedono l’acquisto. In questo caso, il ruolo principale del Community Manager è quello di curare il customer care che può essere interno o in outsourcing. Da una Survey condotta nel 2019 da B2B International su 2000 Decision maker in organizzazioni europee, statunitensi e cinesi, si è evinto che l’affinità tra brands e acquirenti è importante soprattutto all’inizio e alla fine del buyer journey. Per i fornitori è necessario lavorare in sinergia con un brand solido nel quale i clienti possano riconoscersi e investire emotivamente.
Sono quattro le emozioni rilevanti, che aumentano per il 50% la scelta di un fornitore rispetto ad un altro:
- la fiducia rispetto alla credibilità del grossista
- la sicurezza sulla capacità del fornitore di consegna del servizio/ prodotto desiderato
- l’ottimismo in merito a cosa il fornitore potrebbe fare per l’azienda cliente
- l’orgoglio per la prospettiva di poter collaborare con l’impresa erogante
Fiducia
I tre elementi per creare un senso di fiducia sono:
- Affidabilità.
Il fornitore deve essere percepito come affidabile, attenersi alle scadenze, essere reattivo, incontrare o superare gli standard del settore e mantenere sempre le promesse.
- Competenza.
Il grossista deve mostrare competenza: far vedere che si intende dell’anomalia e fornire una soluzione fast e di qualità. La competenza deve essere rinforzata con contenuti e casi studio per mostrare come sono state aiutate le altre aziende del settore.
- Customer experience.
L’azienda fornitrice deve proporre all’acquirente un’esperienza semplice e fluida su tutti i touchpoints.
La piattaforma digitale sulla quale puntare è senza dubbio Linkedin. Come farlo? Sui propri siti, molte aziende scrivono di essere leader nel settore di riferimento, attraverso “il social del lavoro”, si ha la possibilità di informare, nutrire, aggiornare ed educare il pubblico di riferimento.
Amplificare le capacità e le competenze, rispetto al mercato nel quale si opera.
Ma nel costruire la rete è prioritaria la strategia! I contenuti studiati per generare lead e quelli inerenti alla fidelizzazione, devono essere coerenti con la mission e di utilità pratica per l’audience.
Oggi la comunicazione è immagine, i brand si sono spostati su Instagram, dunque, è bene essere presenti anche lì, attraverso la pubblicazione di contenuti che siano unici, autentici e fantasiosi. Il contenuto rappresenta l’azienda e il prodotto. Più i contenuti sono interessanti, formativi e accattivanti, più il prodotto o servizio, verrà percepito di qualità e la storia della marca di valore. Consiglio di mixare product awareness e brand awareness.
3. Attualmente si parla sempre più di Employer branding ed Employee advocacy? Ci vuoi spiegare meglio? Sono proprio sinonimi?
L’employer branding è un’attività di Marketing che prende spunto dall’incremento valoriale dell’azienda, come luogo fisico. Esso tende a concorrere al progresso dell’immagine e del business su tutti i fronti. La finalità è quella di evidenziare internamente ed esternamente la qualità della produzione e del clima lavorativo. Il pubblico di questa disciplina infatti è composto da dipendenti, collaboratori, da potenziali e aspiranti tali, e a cascata, da tutti gli altri stakeholders.
Vengono coinvolte le aree Marketing, comunicazione e HR, con l’obiettivo di comunicare esternamente: value, mission e vision. Ormai è il prerequisito fondamentale di ogni strategia di recruiting che si rispetti: da una ricerca promossa da LinkedIn, emerge che il 75% dei potenziali candidati si informa sulla reputazione dell’azienda prima di candidarsi per una posizione. Quasi il 70% delle persone intervistate non accetterebbe un’offerta da un datore di lavoro con una reputazione poco trasparente.
L’employe advocacy non è altro che la promozione di un’organizzazione o di un’azienda da parte delle persone che ci lavorano. Contribuisce al miglioramento dell’immagine aziendale, attira l’interesse di nuovi clienti potenziali, aumenta il coinvolgimento da parte dei dipendenti e genera maggiore trust sui consumatori. Può assumere molte forme, ma oggi i canali più comuni ed efficaci attraverso cui si sviluppa sono i social media.
La ricerca TRUST BAROMETER condotta da Edelman già nel 2016 confermava che i dipendenti sono due volte più affidabili – in termini di credibilità – di un CEO o di un dirigente. Mentre Cisco ha fatto osservare che i post social dei dipendenti generano un engagement otto volte maggiore rispetto ai post dei loro datori di lavoro. Le persone hanno 16 volte più probabilità di leggere un post di un amico su una marca rispetto a quello postato dall’azienda.
Nel contesto sociale attuale i migliori ambassadors del brand sono le persone che lavorano per esso, quest’ultime devono sentirsi al centro del progetto, sia a livello remunerativo che nei processi di Marketing e comunicazione.
4. Dobbiamo quindi immaginarci un futuro in cui si assisterà al naturale incontro e alla commistione tra mondo B2B e B2C nella comunicazione sui social media? Vantaggi e svantaggi di questa prospettiva e quale quindi il ruolo del CM in questo nuovo futuro?
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